In questo articolo trovi la nostra trascrizione del podcast “Genitori consapevoli a tu per tu con la musica”
[stagione 2 episodio 1]
Siamo Alessia e Cristina e nel nostro lavoro incontriamo le persone attraverso la musica. Ci occupiamo di educazione musicale e formazione creando dei percorsi che ti aiutano a vivere la musica in modo pratico, creativo e consapevole.
In questa stagione vogliamo raccontarti di come il nostro modo di lavorare con la musica si basi su un’azione educativa a 360°, che considera cioè tanto gli aspetti musicali quanto quelli relazionali, emotivi, pedagogici e psicomotori. Per raccontarti di questi aspetti così specifici non siamo sole, con noi ci sono altre cinque professioniste: Alessia Zoppè, psicologa e psicoterapeuta, Gaia Travaini, musicoterapista, Donatella Agnoletti e Claudia Iezzi, pedagogiste, Marzia Del Negro, psicomotricista funzionale.
Oggi parleremo di ascolto empatico ed emozioni, due aspetti fondamentali del nostro modo di guardare all’educazione musicale.
Iniziamo dunque con la nostra psicologa Alessia: che funzione svolge l’ascolto empatico nella relazione genitori-figli?
Ascoltare significa essere disponibili con l’orecchio e con il cuore a capire cioè a far entrare dentro di noi contenuti emotivi che ci possono turbare, dare fastidio. Spesso non ci riusciamo: ”Mio/a figlio/a non rispetta mai le regole, lo devo sempre riprendere”; “Mio/a figlio/a è da un po’ di tempo che fa i capricci per nulla e io lo/a lascio lì, tanto prima o poi smette”. Ascoltare significa tenere dentro di noi il disagio che quei comportamenti ci suscitano per andare al di là del nostro problema (Il desiderio che tutto funzioni bene) e capire quello dell’altro. Ecco che ci viene in aiuto l’empatia, ovvero il metterci nei panni dell’altro, di immaginare che cosa avremmo provato noi in quella situazione. Questo non significa che deve andarci bene tutto. Dobbiamo stabilire delle priorità e per questo dobbiamo imparare ad osservare. L’ascolto empatico richiede il rispetto dei tempi dell’altro e le sue modalità espressive anche se di solito abbiamo fretta di definire la situazione per uscire dal nostro disagio. Ricordiamoci che i bambini sono dotati di una minore capacità comunicativa di tipo consapevole. L’ascolto empatico è quando osserviamo un’espressione diversa sul volto del bambino e glielo diciamo “Ti vedo con un’espressione diversa dal solito. C’è qualcosa che ti preoccupa? La mamma e il papà sono qui e ti ascoltano se vuoi.” Questo è ciò che permette al bambino di non sentirsi solo nel gestire una sensazione a volte improvvisa, di essere rassicurato che ciò che prova non è qualcosa di sbagliato. Non dobbiamo dare soluzioni, è la vicinanza emotiva e la fiducia che sono aspetti fondamentali per il bambino per trovare lui stesso la via d’uscita.
Ora proviamo a comprendere l’utilità di osservare le manifestazioni emotive e il setting in cui queste si manifestano. Chiediamo quindi alle nostre pedagogiste Claudia e Donatella, Si può imparare ad essere empatici? Se si, quali potrebbero essere alcuni strumenti pratici per esercitare l’empatia nella quotidianità?
Riprendendo quanto detto dalla nostra psicologa Alessia, l’ascolto empatico è strettamente connesso all’osservazione. Non possiamo pensare di comprendere l’altro se prima non esercitiamo quel processo di osservazione oggettiva dell’altro e delle sue manifestazioni emotive.
L’empatia si traduce quindi nell’osservare, senza giudicare, ogni comportamento dei nostri ragazzi dandogli senso e significato in quel momento e in quella data situazione.
Osservare in modo oggettivo ponendosi come obiettivo lo sviluppo di una relazione empatica pone le sue basi sull’idea che i nostri ragazzi non sono ciò che agiscono. Ogni loro comportamento è sempre e comunque dettato da una serie infinita di variabili e solo la comprensione di queste può generare una relazione positiva. Ricordiamoci quindi che se Mario prende 2 a scuola non è incapace ma ha scelto di non studiare. questo significa che, nella quotidianità, dovremmo ricordarci sempre che il verbo essere è giudicante e denota un etichettamento, mentre il verbo avere indica invece la possibilità di scegliere se possedere o meno e l’opportunità di cambiare scelta.
Per osservare l’altro è necessario ricordarci che nessun comportamento viene appreso o messo in atto senza che vi sia un fattore scatenante interno o esterno. Nella relazione adulto-bambino è necessario quindi non limitarsi ad osservare il comportamento (inteso come manifestazione di uno stato emotivo) quanto piuttosto tutto ciò che attorno a quel comportamento è avvenuto: vi è sempre un evento scatenante e dopo ogni azione vi è sempre una conseguenza. La capacità di osservare e comprendere tali fattori permette all’adulto di reagire alle conseguenze in modo funzionale favorendo quindi uno sviluppo più sereno della relazione.
Le nostre pedagogiste ci hanno parlato della capacità di osservazione. In ambito musicoterapico questa azione diventa fondamentale rispetto alle manifestazioni non verbali che spesso veicolano emozioni non espresse attraverso le parole. Ecco dunque perché è fondamentale per tutti gli educatori, genitori ed insegnanti, imparare ad osservare ed entrare in empatia con queste emozioni e con gli aspetti non verbali della persona. E quindi chiediamo alla nostra musicoterapista Gaia: che suono fanno le emozioni?
Un esempio pratico ci può far capire chiaramente come il suono è in grado di riflettere le emozioni umane.
Pensiamo a quando siamo felici, o tristi, o arrabbiati. Concentriamoci sul suono, sulla cosiddetta prosodia, ovvero la musicalità delle parole. Come cambia la nostra voce? Come si modifica l’inflessione, l’energia, il tono di quello diciamo? Certamente ci sono dei tratti comuni, che sono stati a lungo sotto i riflettori di studi musicali e neuroscientifici.
Ma anche senza evidenze documentate, di solito immaginiamo che una persona felice parli rapidamente, con suoni e volumi alti, grande energia e chiarezza; al contrario è più probabile che una persona triste si esprima lentamente, con volumi contenuti, senza slanci e, anzi, con una tendenza a concludere le frasi “in basso”, magari esitando qui e lì. O ancora, una persona arrabbiata probabilmente ci urlerà qualcosa, oppure si porterà da toni bassi apparentemente pacati a scoppi acuti e imprevedibili.
In ogni caso, qualunque sia lo stato d’animo, è certo che produrre un suono, con la voce o con l’aiuto di qualsiasi strumento, è un’azione che coinvolge un complesso sistema di funzioni nel nostro cervello. Queste si attivano contemporaneamente e si collegano fino a essere in grado di esprimere emozioni e sentimenti anche molto profondi, che diversamente faticherebbero ad emergere. Possiamo dire che fare musica consente di utilizzare un linguaggio speciale. Questo linguaggio per esistere usa il corpo e l’azione e proprio per questo può essere immediatamente accessibile a tutti. Ce lo raccontano i neonati, ad esempio, quando hanno bisogno di qualcosa.
Gaia ci ha appena raccontato di quanto il corpo possa essere veicolo per la comunicazione delle emozioni, ora proviamo a comprendere assieme alla nostra psicomotricista Marzia in che modo il corpo racconta le nostre emozioni e come possiamo imparare ad ascoltarlo.
Si dice che il corpo non mente, soprattutto quando abbiamo a che fare con le emozioni. Ed è realmente così, dal momento che ad ogni singola reazione emotiva corrisponde una modificazione fisiologica, che si manifesta, ad esempio, con l’aumento del battito cardiaco, la sudorazione, la variazione del respiro e della voce, un ipertono muscolare ecc.
Il nostro corpo quindi ci parla, costantemente, ci invia segnali fisici e motori, ancor prima delle parole, e tenta anche di comunicare con l’ambiente esterno, con gli altri. Tanto naturale, quanto complesso: il riconoscimento e l’interpretazione delle emozioni proprie e altrui è un processo che richiede molto tempo ed è regolamentato dai tempi di maturazione del sistema nervoso del bambino e dai successivi vissuti. Da dove iniziare quindi? Uno dei punti di partenza è il riconoscimento e la denominazione dei cambiamenti e dei segnali lanciati dal proprio corpo, attraverso esperienze psicomotorie volte a sviluppare una prima e fondamentale consapevolezza corporea. Individuare ad esempio, in quali parti del corpo si manifesta la rabbia, oppure osservare ciò che accade al proprio tono muscolare quando si è impauriti. Attraverso il gioco, la condivisione ed il dialogo è possibile imparare ad ascoltare il proprio corpo.
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