Trovare il proprio modo di fare musica è un po’ come fare una degustazione: hai a disposizione un sacco di “assaggini” che puoi sperimentare con le tue papille gustative, alla fine in cassa scegli di comprare quei pochi prodotti che ti hanno particolarmente stupito.
Nel nostro percorso formativo abbiamo sempre cercato di raccogliere più informazioni ed esperienze possibili, punti di vista diversi che ci permettessero di avere uno sguardo il più ampio possibile sull’educazione, non solo musicale. Certamente chi si occupa di musica a quello dovrà dedicarsi per formarsi adeguatamente, ma quello che secondo noi fa un po’ la differenza è avere uno sguardo a 360° sulle cose, sul proprio lavoro, sull’educazione.
Ovviamente non siamo tuttologhe e quello che sappiamo è sicuramente ancora una parte piccolissima di quello che continueremo a conoscere negli anni a venire, ma la cosa che per noi è stata la svolta nella conduzione dei gruppi e nel rapporto con gli allievi e gli insegnanti che si formano da noi è una maggiore consapevolezza della musica come strumento che sta dentro alla relazione.
Se ci pensiamo questo aspetto è sempre quello vincente, che tu abbia a che fare con i piccoli o con i grandi, se dai attenzione alla relazione e non solo alle mere competenze e traguardi didattici, il rapporto con il tuo allievo o con i tuoi allievi. Dare attenzione alla relazione non significa far andare in secondo piano gli aspetti musicali, al contrario secondo noi significa accompagnare gli allievi in modo diverso al raggiungimento dei loro obiettivi.
Questo approccio è parte delle due metodologie a cui facciamo ci ispiriamo: la Music Learning Theory di E. E. Gordon e L’Orff Schulwerk.
La prima si fonda sul presupposto che la musica si possa apprendere secondo processi analoghi a quelli con cui si apprende il linguaggio e per questo motivo considera di primaria importanza l’avvicinamento del bambino alla musica a partire dalla nascita. Tra gli strumenti utilizzati troviamo la priorità della voce quale strumento autentico utile al bambino per sviluppare un proprio pensiero musicale e in grado di favorire una diretta relazione con le figure parentali, oltre all’utilizzo di un movimento spontaneo e libero dettato dalle vibrazioni e dal ritmo stesso della musica.
Nell’Orff-Schulwerk il movimento e la pratica attraverso il corpo sono gli elementi cruciali per l’apprendimento. L’esperienza sonora diventa integrazione e comunicazione attraverso l’uso della voce, dell’espressione corporea e dello strumentario. L’integrazione di competenze diverse favorisce la partecipazione contemporanea di bambini in possesso di abilità non necessariamente equivalenti. L’espressione libera e creativa attraverso la musica promuove nel bambino la disposizione sociale e la volontà di ricerca, spingendolo all’azione e facendolo divenire il soggetto dell’esperienza educativa.
La cosa bella del nostro percorso di crescita come coppia educativa è che è nato naturalmente e spontaneamente un intreccio tra queste due metodologie, inizialmente perché una aveva una formazione prettamente “Gordoniana” mentre l’altra prevalentemente “Orffiana”. E altrettanto spontaneamente sono nate le nostre riflessioni sulla musica e la relazione, e sul fatto che in ciascuna metodologia la musica fosse al servizio della relazione e la relazione al servizio della musica.
Così è nato un mix, frutto della nostra esperienza sul campo, della formazione in didattica musicale ma anche in musicoterapia, un percorso importante che ci ha permesso di avere nuovi punti di riferimento per il nostro lavoro e nuove prospettive, oltre che aiutarci ad accogliere sempre punti di vista diversi. Questo “mix” è ora il nostro personale modo di vedere l’educazione musicale e diventa a volte un modello di lavoro per chi decide di formarsi con noi.
Perché ti abbiamo raccontato la nostra esperienza?
Perché siamo convinte che ogni insegnante ed educatore debba cercare il proprio percorso, mettendo in valigia quelle linee guida che ci ispirano continuamente assieme ad un pizzico di voglia di buttarsi e provare, allontanandoci dai cosiddetti metodi che per quanto a volte funzionano, sono un “fare” rigido e troppo schematico per essere applicato insindacabilmente a tutti i nostri allievi.
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